Ammesso che in un mondo tanto tecnicizzato, come è quello attuale, nel quale basta un velocissimo click per trovare la risposta a ogni impellente interrogativo ed è sufficiente scaricare una qualunque applicazione di messaggistica online per intrattenersi “gratuitamente” con il mondo intero e gettar parole su parole in piazze virtuali e affollatissime, sia ancora ascoltabile un discorso sulla preghiera, ammesso che, dicevo, si riesca a trovare qualcuno che voglia ancora leggere parole su uno spaccato “interiore” di vissuti che hanno a che fare con una Presenza di lontanissima memoria, resta la difficoltà di rendere, ancora, attuale un messaggio che, pur avendo resistito nei secoli, necessita di divenire più accattivante di un post di Facebook o di una chat di Whatsapp.
Potrebbe apparire un’azione temeraria quella di ri-proporre una figura di donna di fede del XVI secolo. Di fatto lo è.
Ci vuole un atto di coraggio a decidersi a buttare in faccia al lettore di internet un programma di vita che, di primo acchito, sembrerebbe del tutto anacronistico.
Chi scrive non si reputa coraggiosa, ma fermamente convinta che quella donna, Teresa di Gesù, abbia da dire molto, e pure in maniera originale.
Una parola, un concetto, una realtà, se volete, sta alla base dei nostri intrattenimenti quotidiani di natura informatica: amicizia. Di amici ne abbiamo a iosa: li aggiungiamo, li cancelliamo, li blocchiamo e poi li sblocchiamo; ci parliamo, ci scambiamo informazioni, foto, intimità. Partiamo da qui, allora, da questo forte e urlante bisogno di “avere amici”.
Non me la sento di denigrare la popolazione mondiale per questo suo continuo delirante intrattenimento con gli altri su uno smartphone. Teresa di Gesù non lo faceva, è vero. Teresa, però, a detta sua, ugualmente era preda di questo bisogno di rimanere in conversazione con gli altri. Trascorreva ore estenuanti in parlatorio (era una monaca nel monastero carmelitano di Avila), si intratteneva con gli amici che andavano a trovarla, era attratta dalla trama dei rapporti umani intessuti di vicinanza fisica, di scambio continuo di parole, di confidenze e sostentamento reciproco.
Donna estremamente comunicativa, Teresa aveva reso la sua vocazione un “trasporto amicale” verso gli altri. In questo ci ritroviamo perfettamente.
Ma a Teresa, tutto questo via vai di “chiacchiere”, a un certo punto non basta più: più che altro desidera rendere “giustizia” (nel senso di “dare la giusta collocazione”) alla realtà dell’amicizia.
Non la riduce; non ne diminuisce la portata; non la ridimensiona: la esalta, la eleva fino al suo punto massimo, fino a darle quell’ampio respiro che tutto ingloba e tutto trasforma in conoscenza di sé e dell’altro implicato in essa.
"Per dialogare non basta essere capaci di parlare. Teresa lo ha sperimentato direttamente: pur essendo una conversatrice brillante e appassionata, continuò ad essere insoddisfatta e infelice fino a quando non imparò, attraverso il dialogo con Dio, a saper dialogare anche con gli altri. Un dialogo autentico, che non si riduca a un confronto tra monologhi, presuppone il rispetto di determinate condizioni, indipendentemente dal talento naturale o dalla capacità di relazionarsi agli altri" (W. Herbstrith, Teresa d’Avila. La vita, il pensiero, l’identità di donna).
Teresa scopre due realtà fondamentali: per dialogare in modo autentico bisogna imparare ad ascoltare; per imparare ad ascoltare bisogna divenire “oranti”.
Teresa, desiderosa di amicizia, si decide ad aprirsi a un rapporto amicale con Dio e fare della preghiera-orazione il tessuto connettivo del suo essere e agire. “L’orazione mentale non è altro che un rapporto d’amicizia in cui ci si intrattiene spesso da soli, con colui che sappiamo ci ama”.
Pregare è coltivare questa amicizia, intrattenersi con Lui in un rapporto interpersonale, uno stare per uno scambio di accoglienza, un aprire a Colui che chiede discretamente di essere accolto, che attende, stando sempre a guardare, il contraccambio di uno sguardo. Si richiede lo sforzo di superare ogni superficialità e inondare il rapporto di attenzioni.
Teresa di Gesù insegna a prendere sul serio, sempre, il proprio interlocutore assumendo la postura dell’ascolto attento e disinteressato, scegliendo volontariamente dei momenti di silenzio e di stacco dalle altre faccende per rimanere con l’Amico che ci inabita.
Pregare, per Teresa, è “pensare e comprendere ciò che preghiamo, con chi parliamo e chi siamo noi… e applicarci a tener fissa la mente in Colui al quale ci rivolgiamo”.
Non servono quantitativi smisurati di parole: nell’orazione, nel rapporto di amicizia con Dio, occorre la tensione a “udire”, a captare la verità su se stessi, l’ascolto autentico di ciò che scopriamo di essere, che ci viene svelato, sussurrato, descritto minuziosamente. Nessuna menzogna, né ipocriti pensieri che ci gettiamo addosso per abbellirci, nessun atteggiamento di autoesaltazione: io, tu, così come siamo, così come ci ritroviamo di fronte a Dio.
Dentro quest’unico modo di vivere in autenticità un rapporto di amicizia, si scatena un dinamismo che spalanca le porte dell’interiorità che, in libertà di spirito appena conquistata, intraprende il cammino per le strade del mondo.
Questo fa Teresa: non si risparmia affatto. Dice, confida, insegna questo nuovo modo di pregare; sprona a prendere coscienza della propria natura; crea piccole comunità di autentica compagnia; viaggia per incontrare, fondare, istruire; rende empatibile un Dio che va incontro, che sostiene, che porta conforto, che si carica delle sofferenze degli altri. Il Dio empatibile di Teresa ha gli occhi, lo sguardo, le mani di chi, concretamente, si immischia nelle brutte faccende di questo mondo per non divenirne complice, bensì fattivo collaboratore di rinascita umana.
Non è necessario spegnere i nostri cellulari. Sarebbe auspicabile alzare, di tanto in tanto, gli occhi dai piccoli e grandi schermi che possediamo e imparare ad andare incontro agli amici, in carne e ossa: “Non è possibile conoscere qualcuno se non attraverso l’amicizia” (Sant’Agostino).
Scritto da Maria Concetta Bomba e pubblicato qui.
Pregare, per Teresa, è “pensare e comprendere ciò che preghiamo, con chi parliamo e chi siamo noi… e applicarci a tener fissa la mente in Colui al quale ci rivolgiamo”.
Non servono quantitativi smisurati di parole: nell’orazione, nel rapporto di amicizia con Dio, occorre la tensione a “udire”, a captare la verità su se stessi, l’ascolto autentico di ciò che scopriamo di essere, che ci viene svelato, sussurrato, descritto minuziosamente. Nessuna menzogna, né ipocriti pensieri che ci gettiamo addosso per abbellirci, nessun atteggiamento di autoesaltazione: io, tu, così come siamo, così come ci ritroviamo di fronte a Dio.
Dentro quest’unico modo di vivere in autenticità un rapporto di amicizia, si scatena un dinamismo che spalanca le porte dell’interiorità che, in libertà di spirito appena conquistata, intraprende il cammino per le strade del mondo.
Questo fa Teresa: non si risparmia affatto. Dice, confida, insegna questo nuovo modo di pregare; sprona a prendere coscienza della propria natura; crea piccole comunità di autentica compagnia; viaggia per incontrare, fondare, istruire; rende empatibile un Dio che va incontro, che sostiene, che porta conforto, che si carica delle sofferenze degli altri. Il Dio empatibile di Teresa ha gli occhi, lo sguardo, le mani di chi, concretamente, si immischia nelle brutte faccende di questo mondo per non divenirne complice, bensì fattivo collaboratore di rinascita umana.
Non è necessario spegnere i nostri cellulari. Sarebbe auspicabile alzare, di tanto in tanto, gli occhi dai piccoli e grandi schermi che possediamo e imparare ad andare incontro agli amici, in carne e ossa: “Non è possibile conoscere qualcuno se non attraverso l’amicizia” (Sant’Agostino).
Scritto da Maria Concetta Bomba e pubblicato qui.
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