Reflexiones diarias sobre argumentos de espiritualidad y vida carmelitana, con incursiones en el mundo del arte y de la cultura

miércoles, 25 de marzo de 2015

Teresa d’Avila, storia di una donna


Teresa d’Avila è una donna spagnola del XVI secolo piuttosto critica nei riguardi del potere statale ed ecclesiastico del suo tempo di conformazione prettamente maschile: e non è cosa da poco conto se consideriamo il fatto che è situata in un contesto di discriminazione ed emarginazione nei confronti del sesso “debole”, che queste benedette femmine avevano l’esclusivo compito di partorire il maggior numero di figli per contrastare l’elevata soglia di mortalità infantile e che la concessione massima che poteva essere fatta loro in un cammino di preghiera era quella di tenere una corona del rosario in mano per sciorinare formule su formule nella rassicurante postura di un immobilismo sia mentale che fisico.

Teresa nasce, cresce e sconvolge pian piano questo stato di cose. Ad Avila, da Alonso Sánchez de Cepeda e Beatriz de Ahumada, il 28 marzo 1515, viene al mondo Teresa. Di origini ebraiche, il padre si era trasferito con la sua famiglia da Toledo per rimuovere il suo passato “giudaizzante”.

Di natura passionale, Teresa vive intensamente gli avvenimenti del suo tempo: a soli sei anni sogna, progetta e mette in atto insieme a suo fratello Rodrigo una fuga nel tentativo, fallito, di raggiungere la “terra dei Mori” per morire martire.

Poi giunge l’adolescenza, con l’esplosione di vitalità che la caratterizza: la voglia di avventure e di compagnie, il desiderio di piacere e di apparire attraente, i primi amori, le prime avventure amicali. Il padre Alfonso è preoccupato e la rinchiude in un monastero col solo intento educativo: “Vi ero entrata molto inquieta, ma dopo otto giorni, e anche meno, mi sentivo più felice che non in casa di mio padre”. 

A vent’anni desidera farsi monaca, ma il padre non vuole: ancora di buon mattino mette in atto una seconda fuga, a buon fine questa volta, verso il monastero carmelitano dell’Incarnazione. Il convento non è di stretta clausura: è popolato da circa duecento monache alle quali è permesso intrattenersi, senza grandi restrizioni, con il mondo esterno. 

Teresa è molto amata, ha il dono di piacere e di attirare l’attenzione di molte persone. Il suo cuore è diviso: è attratta da Dio ma anche da ciò che la circonda, vive in una sorta di battaglia continua che la lacera interiormente: “Passai quasi vent’anni in questo mare tempestoso sempre cadendo e rialzandomi; ma rialzandomi male, perché tornavo a cadere… Posso dire che tale vita è una delle più penose che mi sembra si possano immaginare, perché non godevo di Dio, né gioivo del mondo”.

Teresa è una donna estremamente comunicativa: vive con intensità e partecipazione i rapporti umani che le capitano nel suo percorso di vita; è profondamente attratta dalla “umanità” del suo mondo di appartenenza. Dirige costantemente il suo sguardo all’altro, nel suo insopprimibile bisogno di instaurare legami di amicizia. Ma a ogni apertura verso il mondo fa seguito un lacerante “senso di colpa”: da qui il continuo voltare lo sguardo a Dio nel silenzio e nella solitudine, per poi tornare a desiderare di vivere di “compagnia” umana.

A Teresa non è concesso frequentare l’Università poiché donna: ma legge molto e si forma da autodidatta.

Prende sempre più coscienza dell’importanza dell’orazione mentale, di spezzare le limitazioni imposte da una preghiera vocale che tiene occupata la bocca senza stravolgere la propria identità di donna orante.

“Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovete trattare con lui? Ora vi dico, sorelle, che, se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale, cioè le Ore e il rosario, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Se qualcuno vi dicesse che ciò (l’orazione interiore) rappresenta un pericolo, ritenete lui stesso un pericolo e fuggitelo…”

Gli anni dal 1560 al 1562 furono decisivi per i cambiamenti a venire.

Nella riservatezza di una cella, un piccolo gruppo di monache si confronta ed elabora progetti di riforma per rendere nuovamente “fattibile” l’iniziale ideale contemplativo dei primi padri del Carmelo, con l’osservanza della Regola primitiva in tutto il suo rigore, senza mitigazioni, mediante la fondazione di un nuovo monastero con poche monache, al massimo dodici, interamente dedite alla preghiera in un contesto comunitario e di radicale povertà evangelica nell’assenza totale di rendite.

Teresa comprende che la sconvolgente rivoluzione da attuare per il bene suo e di tutte le donne del suo tempo, è l’orazione mentale: ha necessità di ricominciare con un piccolo gruppo, determinato, compatto di donne temerarie.

Acquista una piccola casa sotto il nome di suo cognato e prepara la fondazione di nascosto, senza il permesso del Provinciale e della superiora che ne erano totalmente all’oscuro.

Il 24 agosto del 1562, Teresa apre il modestissimo convento di San Giuseppe ad Avila. Non era ammessa nessuna intromissione da parte del ramo maschile: ciò comporta una dura lotta per evitare la soppressione del piccolo convento appena nato. “Non dev’esserci, peraltro, nessun vicario che abbia la libertà di entrare e uscire a suo piacere dal monastero né che l’abbia alcun confessore: che essi provvedano a vigilare sul raccoglimento e il decoro della casa, sul profitto interiore ed esteriore delle monache, per riferire al superiore, qualora non sia in ordine, ma non facciano essi da superiori”.

Il pericolo viene scampato: fanno seguito numerose altre fondazioni della stessa natura; al momento della sua morte se ne conteranno diciassette. Un’intensa attività riformatrice che dal 1568, in seguito all’incontro con Giovanni della Croce, coinvolse anche il ramo maschile dell’ordine.

Numerosi viaggi la conducono, esausta, da un posto all’altro della Spagna, caparbiamente intenzionata a diffondere il suo progetto di “controriformismo orante”.

Il 4 ottobre 1582 si reca ad Alba da Tormes per appianare delle difficoltà sorte nel convento: ammalata da tempo, muore.

Teresa ha trascorso gli ultimi anni della sua vita sulle strade della Spagna, viaggiando da una fondazione all’altra, alloggiando in dimore passeggere, a contatto con la gente: ha intessuto trattative, corrispondenze, indispensabili per la realizzazione della sua opera.

Teresa donna “attiva”: Teresa donna “orante”. I due volti della stessa medaglia.

Che quel fissare lo sguardo su Dio la fa rientrare talmente nel profondo della sua anima che la sprona ad andare incontro costantemente al mondo: e ciò non è contraddittorio.

Ciò rappresenta quel movimento di continuo arricchimento nella “settima stanza”, in “un rapporto d’amicizia in cui ci si intrattiene spesso da soli, con colui che sappiamo ci ama”, per dirigersi nuovamente verso l’esterno in un incessante movimento di costruzione di “opere su opere”.

“È chiaro che non si può dare quello che non si ha, e che prima di dare bisogna avere” (Teresa d’Avila, Fondazioni 5, 13). 

Scritto da Maria Concetta Bomba e pubblicato originalmente qui.

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